Se c’è un monumento più controverso e allo stesso tempo più venerato al mondo, questo è il Pha That Luang. Questo tempio imponente, costruito e ricostruito parecchie volte, è il monumento più importante del Laos per prestigio e importanza storica; un simbolo sia religioso che laico, dunque, la cui effige appare addirittura sul sigillo nazionale e in centinaia di bancarelle per turisti del paese.
Edificato come monastero khmer nel XIII secolo, la costruzione del tempio è avvenuta sulle sue rovine solo nel XVI secolo in occasione del trasferimento della capitale da Luang Prapang all’attuale Vientiane. Nel corso dei secoli, tuttavia, la costruzione è stata più volte saccheggiata, distrutta, in parte smantellata, e quindi abbandonata all’abbraccio della foresta, che l’ha nascosta per molti secoli agli occhi dell’uomo. Tornò in auge solo con l’arrivo dei francesi, nel XIX secolo, che iniziarono ad interessarsi al monumento e pensarono bene di ricostruirlo di sana pianta.
Mai opera di recupero fu più maldestra e, sopratutto, malvista. Basandosi su concezioni architettoniche assolutamente estranee alla tradizione locale, i francesi costruirono un primo edificio che nulla aveva a che vedere con il monumento originale. Non almeno per i sacerdoti laotiani. Fra i tanti errori compiuti, il più grave di tutti pare fosse quello di aver posizionato malamente l’orientamento delle porte di accesso. Ignorando la tradizione buddista, che prescrive che tutti monumenti religiosi debbano tassativamente essere orientati ad est, i francesi preferirono “girare” l’intero blocco verso sud, in modo da far combaciare l’ingresso principale con la nuova strada da loro precedentemente costruita. Una scelta logica, razionale, da un punto di vista pratico occidentale; l’equivalente di una bestemmia per i religiosi locali, che subito avversarono l’opera fomentando numerose manifestazioni di protesta.
Un tempio rifatto ex-novo
Una situazione insostenibile, alle lunghe, anche per il più rigido e prepotente impero coloniale dell’epoca. Il monumento andava rifatto, c’era poco da fare. Pertanto, all’inizio del secolo scorso, gli ingegneri e gli architetti francesi ricominciarono tutto da capo. Rifacendosi ai disegni di chi aveva scoperto il tempio un secolo prima, sepolto dalla foresta e semi distrutto, smantellarono lo stupa e lo ricostruirono da capo; questa volta dandogli l’aspetto attuale, a forma di bocciolo di fiore del loto, e “girandolo” nella posizione più ortodossa ai dettami buddisti.
Quel che ne risulta è un edificio indubbiamente magnifico, elegante, che si staglia all’orizzonte grazie alla sua imponente guglia dorata. Trovandosi a circa 4 chilometri dal centro di Vientiane, il Pha That Luang si può raggiungere facilmente con il taxi o in bicicletta (il percorso è pianeggiante). Sempre che il caldo non ci ammazzi alle prime pedalate…
All’esterno qualche bancarella vende degli opuscoli, in varie lingue (ma non in italiano), nei quali sono descritte le caratteristiche sia architettoniche che religiose del luogo. In verità, sembra che l’attenzione degli autori sia focalizzata nel far comprendere al visitatore che la disposizione di ogni pietra, ogni tegola, ogni mattone dell’opera risponde a un preciso disegno cosmico buddista. Pare infatti che i due livelli del blocco principale siano stati progettati rispettando alcune regole della dottrina, regole che tuttavia non ho capito molto, né scorrendo l’opuscolo né poi rileggendo tutto sulla guida.
Ad ogni modo, a parte la cosmogonia di questo edificio, il luogo è indubbiamente ricco di fascino. Una passeggiata all’interno del suo cortile interno è una esperienza che infonde pace e serenità a chi la compie. A patto però di eseguirla in senso orario, naturalmente.