I misteriosi templi indu di My Son

La visita di My Son viene generalmente considerata dai turisti un penoso quanto inevitabile step intermedio a cui bisogna sottostare prima di raggiungere una delle destinazioni più celebri del Vietnam centrale. Viene infatti inserita, un po’ a tradimento, in qualsiasi itinerario di un giorno che comprenda, come meta finale, Ba Na Hills, ovvero il parco a tema più pazzo e strampalato del mondo, famoso per il suo ponte sospeso tra due enormi sostegni a forma di mano. Ne parlerò diffusamente più avanti.

Si tratta quindi di una specie di contentino per chi desidera salvaguardare un minimo di integrità culturale, offrendo l’opportunità di vedere uno dei luoghi più antichi e misteriosi del paese: i templi indu di My Son. Per molti, ripeto, è una tappa inutile e noiosa, come se non bastasse aggravata dal caldo umido e soffocante che caratterizza tutta l’area. Nondimeno, My Son è, secondo me, uno dei siti archeologici più interessanti dell’Asia, e vale la pena spendere qualche ora del proprio prezioso tempo per visitarlo. Non per altro perché è Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 1999.

Ciò che rende My Son così stimolante è la presenza di numerosi templi di innegabile fattura induista. Questo complesso sacro, costruito tra il IV e il XIV secolo, è una testimonianza straordinaria della civiltà Champa, un antico regno che dominò la costa centrale del Vietnam per oltre un millennio. Una cultura fortemente influenzata dall’Induismo proveniente dall’India, visto che i templi assomigliano molto a quelli presenti in altri paesi limitrofi, come Myanmar, Cambogia, Indonesia e – naturalmente – India del Sud. I templi di My Son erano dedicati principalmente a Shiva, una delle principali divinità indù, considerato il protettore dei re Champa; il complesso serviva anche come luogo di sepoltura per i sovrani.

Con il declino del regno di Champa a partire dal XV secolo, My Son cadde gradualmente in rovina e fu in gran parte abbandonato. L’espansione del regno dei Dai Viet, predecessori del moderno Vietnam, e la conversione della regione al buddhismo contribuirono alla sua decadenza. Nel corso dei secoli, la giungla avvolse completamente i templi, nascondendoli alla vista e offuscandone il ricordo. Nel XIX secolo, gli archeologi francesi riscoprirono il sito durante il periodo coloniale e iniziarono un lungo processo di restauro, cercando di preservare ciò che rimaneva delle antiche strutture. Tuttavia, My Son subì ulteriori danni durante la guerra del Vietnam, quando molte delle sue torri furono distrutte dai bombardamenti aerei americani.

Il principale elemento di curiosità del sito è costituito da come sono stati realizzati questi templi. Furono costruiti infatto utilizzando mattoni rossi e decorati con intricati bassorilievi in arenaria che raffigurano scene mitologiche, divinità e creature leggendarie. Tuttavia, ciò che lascia ancora oggi sbigottiti gli archeologi è il fatto che non sia stata utilizzata alcun tipo di malta per tenere insieme i mattoni. Il che ha generato svariate speculazioni su come i Champa siano riusciti a creare strutture così resistenti con così poca conoscenza tecnologica.

La visita al sito è piuttosto lineare e può essere realizzata, cercando di vedere tutto, in un paio d’ore. Il sito infatti non è così esteso come il pannello introduttivo sembra suggerire. Occorre semplicemente seguire un percorso ben segnalato, che costeggia un fiumiciattolo quasi in secca e si inoltra, per lunghi tratti, all’interno di una foresta tropicale piuttosto fitta. Alla fine si arriva nell’area archeologica principale, che comprende una serie di torri e santuari raggruppati in diversi complessi, ciascuno dei quali dedicato a una diversa divinità o a un diverso sovrano. Qua e là svettano alcuni torri, le più alte delle quali, chiamate kalan, erano destinate a simboleggiare la montagna sacra Meru, la dimora degli dei nella cosmologia indù.

L’interno dei templi non presenta elementi di particolare rilevanza; alcuni sono talmente diroccati da non aver conservato che pochi resti, tra i quali l’immancabile lingam. Un edificio però è rimasto quasi intatto ed è facilmente riconoscibile per la coda di gente che staziona al suo ingresso in attesa di poterlo visitare. Questo tempio presenta un blocco di pietra centrale ai cui due lati sono posti dei bassorilievi raffiguranti Shiva.

Se il caldo lo concede, la visita a My Son può essere anche molto appagante, perché offre l’opportunità di fare una bella passeggiata in un luogo per molti versi piacevole, caratterizzato da una vegetazione lussureggiante, attraversamenti di torrenti, scorci di panorama davvero notevoli. Alla fine del percorso viene persino offerto uno spettacolino di musica e danza tradizionale Champa, eseguito a intervalli regolari presso una piattaforma di mattoni vicino all’uscita. Un momento di svago, di riposo ma soprattutto l’occasione di ammirare le movenze leggiadre ed eleganti di alcune graziose ballerine vietnamite. Una delle quali riesce addirittura a danzare con una specie di copricapo composto da piatti, ciotole e altro materiale non meglio identificato.

 

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